A cura di Federico Scannavino.

Ciao sono Federico, ho 21 anni e sono un fan della NASCAR. Non ho origini americane, eppure non salto nemmeno un appuntamento con questo campionato che è un simbolo degli USA, addirittura da più piccolo dicevo fosse uno sport stupido. Evidentemente non capivo cosa ci fosse dietro. Ma facciamo un salto indietro.

Le auto Cup schierate sul “banking” del Daytona Superspeedway, circuito leggendario famoso anche per le gare di durata.

La National Association for Stock Car Auto Racing (NASCAR) nasce il 21 febbraio 1948 a Daytona Beach, Florida. È una associazione a proprietà e gestione familiare, con fondatore Bill France Sr.

France era un meccanico e pilota, si trasferì nella patria delle corse americane nel 1936 e partecipò anche alla famosa Daytona Beach Road Course, una gara corsa a metà tra la statale e la spiaggia, a cui partecipavano in maggior numero contrabbandieri con auto truccate per sfuggire alla legge. Daytona era il luogo perfetto per le gare, la lunga spiaggia infatti è sempre stata meta di pionieri della velocità fin dalla creazione dell’automobile stessa, con numerosi record di velocità fatti segnare proprio sulla sabbia. France però ebbe un intuizione geniale: una regolamentazione e un organo patrocinatore per la creazione di un campionato vero e proprio. Molto spesso infatti i piloti venivano fregati da promoter che scappavano con i soldi in premio poco prima della fine della gara, erano pur sempre i tempi della grande depressione…

France allora cominciò a parlare con altri piloti e personaggi influenti della scena e ad una cena (con regolamento scritto su un tovagliolo) nacque quella che sarebbe diventata la massima serie dei campionati su suolo statunitense.

Una Ford Coupé del 1939, una dei modelli preferiti dai piloti/contrabbandieri.
La gara inaugurale della NASCAR sulla spiaggia di Daytona.

All’inizio le auto erano assolutamente di serie, con successivamente qualche modifica per la sicurezza come roll bar, ma erano auto che si potevano acquistare in qualsiasi concessionaria, da qui il famoso motto “Win on sunday, sell on monday” (Vinci la domenica, vendi il lunedì). E cosa accade quando un pilota vuole avere un vantaggio sugli altri con un’auto di serie? Esatto, si comincia ad aggirare il regolamento. La storia della NASCAR è piena di “esploratori del regolamento”, tra cui il più famoso Smokey Junick, un pilota e preparatore con una conoscenza ingegneristica così avanzata rispetto ai tempi da far impallidire gli ingegneri europei contemporanei. Da tubi per il carburante più larghi ad appendici aerodinamiche ottenute piegando paraurti e tettucci, fino ad arrivare ad una Chevy in scala 7:8, un vero capolavoro.

La Chevy modificata da Smokey, un capolavoro delle famose zone grigie.

Ma oltre ai bari, ci sono i campioni. Richard “The King” Petty (celeberrima la sua RoadRunner azzurra con il numero 43), Bill Elliott, Dale “The Intimidator” Earnhardt, Jimmy Johnson, Jeff Gordon, etc. Uomini che si lanciavano a più di 300 km/h in dei circuiti costruiti apposta per raggiungere velocità allucinanti, e proprio questo li ha dipinti nell’immaginario collettivo come eroi. Come i piloti di caccia, allacciato il casco iniziavano duelli supersonici spingendo al limite le leggi della fisica e della tecnica, portando i mitici V8 a più di 9 mila giri e cercando la scia nuotando in quest’aria pregna di benzina e testosterone. Sono delle rockstar, icone popolari di uno sport che è nato dal basso, dalla gente comune, al contrario degli sport europei esclusivi per gente facoltosa.

Dale Earnhardt in posa con la sua Monte Carlo nel 1987, auto che adesso fa parte della collezione privata di Zack Brown.

Ed è questo il punto di forza di questa competizione: la vicinanza con il pubblico e la spettacolarità. Ogni bambino e bambina può sognare e diventare un pilota di stock cars, qualsiasi sia la sua provenienza sociale, basta avere talento e tanto coraggio. Come il famoso sogno americano ognuno può partire dal basso con nulla e arrivare in cima. Per non parlare dei pit stop coreografici, le strategie per arrivare con meno soste possibili sfruttando scie, gli incidenti spettacolari, molte volte intenzionali (“Se il mio avversario ha i paraurti, allora sono legittimato a toccarlo!” Citazione di Jimmy Johnson), il tutto condito dal tradizionale BBQ e stile americano inconfondibile.

Il finale spettacolare della Daytona 500 del 2020, con Ryan Newman in volo ad un passo dal traguardo.

La NASCAR è uno sport alieno, spettacolare e ricco di storie affascinanti, spesso vittima di pregiudizio da i fan delle corse europee, ma sfido chiunque a non emozionarsi al ruggito a 300 all’ora di 32 potenti V8 che lottano con sorpassi e controsorpassi per la vittoria in delle gare che sono delle vere e proprie endurance per piloti e vetture. La NASCAR è questa, ed io la amo esattamente così com’è.

2 pensiero su “LA NASCAR SPIEGATA AD UN EUROPEO”
  1. Ottima scrittura, efficace e immediata. Traspare la passione che viene voglia di scoprire questo mondo. Complimenti e ottimo lavoro ragazzi

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