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A cura di Davide Achille.

Provate a chiudere gli occhi e ad immaginare di essere in una torrida giornata di fine luglio seduto dentro ad un’auto spogliata di qualsiasi comfort e standard di sicurezza che trovate sulle più comuni auto stradali. Immaginate, dai: pensate di aspettare quell’esatto momento da tutta la vita, intanto che il tuo amico con cui condividi questa passione da quando vi conoscete ti sta allacciando le cinture di sicurezza a quattro punti d’ancoraggio e successivamente ti da un buffetto sul casco quasi come per augurarti un in bocca al lupo. Già, in bocca al lupo… perché là fuori, in pista, è un inferno di 62 macchine che si stanno dando battaglia per 12 lunghissime ore in un circuito lungo poco meno di due chilometri e mezzo dove ogni errore lo paghi caro, molto caro. In una gara automobilistica non c’è quasi sempre una seconda chance: se sbagli e ti va bene te la cavi con qualche graffietto, ma se ti va male non esci dall’abitacolo con le tue stesse gambe. Immaginate per un’ultima volta di trovarvi dentro a questa macchina a sua volta all’interno di un box con tutti i tuoi compagni di squadra che effettuano gli ultimi controlli sul veicolo, intanto che fai il classico radio check con chi dal muretto rappresenta il tuo unico contatto con il pianeta Terra. Proprio così, perché in quell’inferno asfaltato lo spazio e il tempo sfuggono alle leggi della fisica che avete studiato sui banchi di scuola e ogni volta che ti parlano alla radio la voce dall’altra parte ti sembra lontana, ma allo stesso tempo così vicina da farti capire che dentro a quell’inferno non sei da solo. Non c’è più tempo, il caposquadra ti fa segno che è ora di innestare la prima e di lasciare tutte le tue paure alle spalle, è il 31 luglio 2022, Autodromo di Varano de’ Melegari: è la tua prima gara automobilistica.

Mi chiamo Davide Achille e provengo da una famiglia di estrazione calcistica, il calcio è sempre stato il mio amore sin da bambino e ho giocato a pallone finché due brutti infortuni non hanno decretato la fine della mia carriera. Tuttavia dentro di me ho sempre saputo che il calcio non era l’unica passione che avevo, ma nella tenera età è sempre mancato quel qualcosa che permettesse a questo mio lato nascosto di manifestarsi. Tutto questo finché mia mamma in una fredda sera di novembre del 1999 comprò come regalo di compleanno a mio padre la primissima PlayStation nel bundle con Ridge Racer: ecco, quello fu il mio primissimo approccio con il mondo dei motori. Inutile dire che fu amore a prima vista, passavo le ore a giocare a quel “gioco delle macchine”, come lo chiamavo io, e ovviamente non vincevo una gara manco a pagare oro. Se però dovessi scegliere il punto di partenza di questo mio amore per le auto dovremmo andare avanti di qualche anno quando trovai nella calza della Befana una copia di un gioco molto, molto particolare: Gran Turismo 2. Quel preciso momento in cui ho inserito il disco nella PlayStation è stato il punto iniziale in cui ho capito che avevo un amore sconfinato per le macchine. Passavo ore e ore a guardare i modelli delle auto, le forme, le geometrie, a leggere le descrizioni dei veicoli e la loro storia. Sia chiaro che non mi sono mai considerato un esperto di motori, se dovessi paragonare il rapporto che ho con le auto a qualcosa, lo paragonerei a quello che un uomo ha con le donne: ne apprezza le forme, le curve, le sfaccettature interne ed esterne e magari le guida anche bene, ma poi fondamentalmente non ci capisce un cazzo. Tuttavia era troppo tardi ormai, avevo capito che le auto sarebbero state una delle mie passioni, ma col tempo capii anche che mai sarei potuto entrare in un mondo così grande e, purtroppo, così costoso come quello delle corse automobilistiche.

Abbandonata l’età dell’innocenza, i successivi anni dell’adolescenza furono scanditi da questa mia irrefrenabile voglia di mettermi al volante di un’auto e ciò mi permise a 12 anni di essere già in grado di guidare una macchina, il tutto ovviamente anche con la complicità di mio padre e di mio nonno che mi permisero, seppur nel vialetto di casa, di prendere confidenza con il volante. A patente presa in tempo record, mancava solo realizzare il mio desiderio automobilistico più grande: guidare un’auto da corsa in una gara vera. Per permettere a questo sogno nel cassetto di realizzarsi sono ovviamente entrati in gioco numerosissimi fattori poiché, come ho accennato in precedenza, si tratta di un mondo veramente tanto costoso e la mia famiglia, giustamente, non voleva investire del denaro per consentirmi di saggiare le brezza di una gara automobilistica e finché questa mia passione era relegata al giocare a Gran Turismo e guardare tutte le sere Top Gear andava bene così. Tuttavia, come voi ben sapete, puoi reprimere dentro di te un sentimento per un po’ di tempo, ma prima o poi questo è destinato ad esplodere e manifestarsi.

Facciamo un balzo in avanti di qualche anno: ho iniziato a scrivere per ItalianWheels.net nell’ormai lontano 2018 e, dopo anni in cui abbiamo lavorato duramente per riportare questo marchio in auge, solamente nella primavera del 2022 si è palesata la possibilità di poter prendere parte ad una gara quando decidemmo di pianificare la partecipazione del nostro Racing Team alla The Fox Running, una gara di resistenza amatoriale corsa con auto comuni più o meno preparate a sostenere uno sforzo come quello di una gara endurance. Nonostante qualche iniziale difficoltà dovuta al trovare un’auto poco costosa, ma al tempo stesso senza troppi acciacchi, la nostra scelta ricadde su una piccola Peugeot 206+ di colore nero fornitaci dal nostro sponsor The Nando’s, un locale aperto a Voghera per onorare la memoria del mio caro amico Andrea scomparso tragicamente qualche mese prima. Su quest’ultima questione bisognerebbe scrivere un articolo a parte, sia chiaro però che la prematura dipartita del mio amico non è la principale motivazione per il quale ho deciso di intraprendere questa strada da pilota della domenica, sarei falso ad affermare ciò, tuttavia posso invece asserire con certezza che l’avere come principali finanziatori di questa passione la sua famiglia ha convertito questa mia voglia in una sorta di missione: ricordare ogni giorno il mio amico è ciò che faccio da quando non c’è più, ma il dedicargli una cosa simile è un modo per renderlo immortale. “Una persona non muore finché vive nel cuore di chi resta” sembra la classica frase di circostanza da dedicare a qualcuno di caro quando passa a miglior vita, ma vi assicuro che non è affatto così.

La nostra Peugeot 206+ Black Pearl dedicata ad Andrea.

Portata la piccola francesina nelle grinfie del nostro Matteo e alleggerita completamente insieme all’aggiunta di qualche dettaglio racing per renderla quanto meno bella a vedersi, arriva il famigerato weekend di gara. Dopo un venerdì sera di festa al The Nando’s che non posso raccontare per ovvi motivi (chi c’era, sa), il sabato mattina mi vede arrivare allo stesso locale della sera precedente per fare colazione nella mia classica configurazione da post-serata: bermuda di jeans, camicia e occhiali da sole per camuffare bene le occhiaie. Dopo aver fatto due chiacchere, bevuto un cappuccino, mangiato una brioches e scattata la foto di gruppo era ora di partire per la sorridente cittadina di Varano de’ Melegari. Vi assicuro che sotto un sole tremendo e percorrendo strade normali, anziché la più scorrevole autostrada, è sembrato un vero e proprio viaggio della speranza, per fortuna a farmi compagnia sul sedile del passeggero c’era l’intramontabile amico dell’università Claudio, la persona con la quale condivido questa passione sin dall’inizio della nostra conoscenza. Tra discorsi su argomenti prettamente maschili, playlist musicali che alleggerivano il nostro viaggio e paesini della pianura emiliana dimenticati da Dio finalmente giungiamo in quel di Varano de’ Melegari. Nell’esatto momento in cui poggiai il piede sul suolo emiliano iniziò ad aleggiare dentro di me un “fantasma” che mi perseguita da un po’ di anni a questa parte: l’ansia. Sia chiaro che sono ben conscio che tutti, in maniera diversa l’uno dall’altro, patiamo l’ansia, tuttavia per quanto riguarda la mia persona ho notato come negli ultimi anni la tendenza di questo fantasma ad apparire sia sempre più frequente. Non pretendo che immaginiate i pensieri che mi scorrevano nella mia testa in quei momenti, ma per uno che ha paura anche solo di salire su un aereo potete benissimo cercare di comprendere le mie paure, tutto ciò condito anche dal fatto che ero alla mia prima partecipazione ad una gara automobilistica che fino a quel momento rappresentava per me un mondo sconosciuto. Nonostante ciò il pomeriggio volò via abbastanza velocemente tra due risate nel camper del nostro compagno di squadra Sergio che fungeva da base operativa e la sfilata con le auto per le strade di Varano organizzata dai ragazzi della The Fox Running. Al calar del sole vennero finalmente liberati i box e potemmo così accedervi per iniziare ad allestirli in funzione della gara del giorno dopo. Vorrei potervi descrivere le sensazioni di quei momenti a parole, ma risulterebbe molto difficile: l’imbrunire della sera, i rumori degli attrezzi utilizzati dalle squadre per mettere a punto le auto, la luce che illuminava il nostro box con tutta la ciurma che ultimava i lavori sulla piccola Perla Nera e l’incredibile silenzio della pista che rappresentava esattamente la quiete prima della tempesta. Credetemi, tutto ciò per chi aveva visto un paddock solamente in televisione durante le gare di Formula 1 generava uno scorrere di emozioni e sensazioni mischiate a quella leggera brezza di mezz’estate che accompagnava un cielo di colore rosso che faceva da sfondo alla bellissima cornice dell’autodromo. Calate definitivamente le tenebre sul circuito, ultimati i lavori sull’auto e terminato di sfogare le mie ansie sugli altri membri del team, era ora di tornare in albergo per rimpinguarci davanti ad una bella pizza “mappata” (definita così dal nostro fenomenale Roberto), ridere e scherzare in compagnia, perché alla fine che conta in queste cose è lo star bene insieme e divertirsi davanti ad una buona pizza. Al rientro in camera, docciati e profumati come due bambini, io e il buon Claudio ci mettiamo a fare zapping selvaggio sulla televisione dell’albergo, finché la presa di coscienza che la sveglia era puntata alle cinque del mattino è prevalsa sulla voglia di proseguire ad esplorare i canali dal 100 in poi sul digitale terrestre. Vi risparmio tranquillamente i miei pensieri nel letto durante la lunga nottata passata a non prendere sonno, più che altro perché non riesco a trovare le parole per farlo, sappiate solo che la mente di un condannato a morte la sera prima di un’esecuzione sarebbe stata più tranquilla e rilassata.

La squadra in posa davanti all’auto il giorno prima della gara.

Suona la sveglia, sono le cinque del mattino, è il giorno della gara. Come ogni risveglio che si rispetti in una camera d’albergo con dentro due maschiacci, si rende necessaria una veloce discussione su quanto fosse bello il gentil sesso, giusto per non perdere l’abitudine. Conoscendomi abbastanza bene, come da copione, la mia ansia era sparita sostituita da una freddezza e da una consapevolezza che ormai dentro a quell’abitacolo dovevo entrarci e affrontare i pericoli della pista. Arrivati in circuito con un’alba da racconto fiabesco, apriamo il box e la nostra 206+ con i suoi 60 rombanti cavalli pieni di voglia di correre è ancora lì ad aspettarci, non l’avevano scambiata durante la notte con una Porsche 911 GT3 RS, che peccato. Portati a termine gli ultimi controlli sul veicolo era giunto il momento di accendere il motore e iniziare le procedure per la prima ora di prove libere. Ritengo sia inutile che vi illustri cronologicamente gli avvenimenti di questa giornata, preferisco di gran lunga raccontarvi le sensazioni che un pilota della domenica prova in un momento tanto difficile quanto delicato come quello della sua prima gara automobilistica. Durante la prima ora di prove libere montai in auto sul sedile del passeggero con il nostro Matteo al volante per farmi illustrare tutti i segreti del circuito e le modalità con cui affrontarlo. Purtroppo il mio turno da copilota fu tutto sotto safety car e, nonostante il nostro Matteo cercasse di trasmettermi più nozioni possibili, non era semplice sia per lui nella spiegazione che per me nell’apprendere andando al passo di una bicicletta incolonnati a tutte le altre auto, tuttavia nonostante ciò cercai di apprendere più nozioni possibili. Passiamo ora al momento clou di tutto questo racconto: il mio turno di guida. Era circa mezzogiorno e sapevo che mancavano pochi minuti al rientro ai box dell’auto con il conseguente cambio pilota, in quel momento si avvicinò il nostro capoccia Umberto che si rivolse a me dicendomi: “Achi se ti senti più tranquillo vengo in auto con te”. Considerando il fatto che il mio turno da copilota era stato caratterizzato dalla presenza della safety car per tutto il tempo e di conseguenza non era stato possibile per me apprendere molto, direi che mi trovai di fronte ad un’offerta allettante: avere in macchina una persona che ne sa sicuramente qualcosa in più di te rende il tracciato un po’ più semplice da affrontare.

Momenti di pausa ai box tra un turno di guida e l’altro.

Fu così che arrivò l’auto e, appena sceso Sergio, mi catapultai immediatamente dentro l’abitacolo con il mio amico Claudio che iniziò subito ad allacciarmi le cinture insieme al resto delle procedure che avevamo provato la sera prima. In quei precisi istanti mi sentivo particolarmente agitato, ormai indietro non si poteva tornare e rimembrando che ci trovavamo in un circuito di poco più di due chilometri con all’interno una sessantina di auto, vi lascio immaginare la confusione in alcuni tratti della pista e l’incredibile numero di bagarre praticamente ad ogni curva. Tuttavia non c’era più tempo per pensare all’agitazione, Matteo mi fece cenno di innestare la prima marcia e di imboccare la pit-lane. In quel momento, per qualche secondo, mi è passato in testa tutto il percorso che mi ha portato in quel preciso istante ad essere dentro ad un’auto da corsa: da quella calza della Befana con al suo interno Gran Turismo 2 fino ad ItalianWheels.net, passando per le domeniche trascorse a guardare la Formula 1, tutta questa strada ha portato un semplicissimo appassionato di auto con un sogno nel cassetto a realizzarlo e non c’era nessuna ansia o agitazione al mondo che potesse rovinarmi questo momento. Varcata la linea della pit-lane il piede premette al massimo sull’acceleratore e la mano tirò giù la visiera del casco intanto che mi accingevo ad affrontare la prima curva bersagliato da numerose auto molto più veloci della nostra. Se nella vita normale sono una persona abbastanza ansiosa e con qualche insicurezza, in pista mi sono accorto di essere un cane rabbioso pronto a sollevare il dito medio e imprecare contro chiunque tenti una manovra azzardata nei miei confronti, insomma mi accorsi di essere molto competitivo e anche parecchio sprezzante del pericolo. Fa ridere pensare a questo mio modo di essere in pista considerando che il giorno precedente avevo assunto le sembianze di un condannato a morte, tuttavia nonostante le mie paure non sono certo il tipo che quando c’è da lottare si astiene dal farlo e in vita mia ho avuto sempre la tendenza a sottovalutarmi sotto questo aspetto. Ad ogni modo la mia gara fu un continuo guardare negli specchietti retrovisori visto che in rettilineo eravamo a rischio sorpasso pure dagli alberi, ma cercavo nel mio piccolo di spingere la macchina sempre al limite curva dopo curva, tant’è che riuscii anche nella nobile impresa di effettuare due sorpassi. Tuttavia sul più bello Matteo mi comunicò dai box che era uscita la safety car e così potei rilassarmi un attimo e confrontarmi anche con Umberto su come stava andando la gara e in quali settori migliorare. A questo punto della storia si necessita il racconto un veloce scambio di battute tra il sottoscritto e Matteo che esordisce con: “Achi stai raggiungendo l’auto davanti, la vedi? Quella è l’inizio della coda della safety car”. In quel momento esatto uscì quel mio lato arrogante che mi fece esclamare: “Grazie Teo per avermelo detto, pensavo di aver scritto mongoloide sulla carta d’identità”. Tenete a mente questa mia risposta, tornerà utile tra poco. Ripresa la gara con Umberto che mi intimava di rimanere concentrato le ultime fasi del mio primo turno furono abbastanza tranquille, eccezion fatta per il momento in cui dovetti rientrare ai box per dare il cambio pilota perché mi accorsi di non ricordarmi dove fosse l’ingresso della pit-lane e così decisi un po’ a caso di svoltare prima dell’ultima chicane che immetteva sul rettilineo principale finendo per fare visita alle margherite che decoravano il bordopista. Vi ricordate la risposta che avevo dato a Matteo? Ecco, in quell’esatto momento in cui mi accorsi che non era quella la via della pit-lane esclamai: “Eccomi qua, il mongoloide”. Riconosciuto l’errore e sceso dalla macchina dopo essere rientrato ai box potei constatare l’enorme quantità di sudore emessa che avrebbe potuto tranquillamente ripianare la crisi idrica causata dalla siccità, d’altronde il computer dentro l’abitacolo segnava una temperatura interna di circa sessanta gradi. Nonostante ciò ero vivo e mi ero divertito, l’importante era questo.

Gli effetti di 60 °C sul mio volto.

Il secondo stint, in solitaria, invece fu tutt’altro che tranquillo. Dopo qualche giro di pista mi toccai sul petto e mi accorsi che il microfono della radio si era completamente staccato dall’aggancio posizionato sulla cintura di sicurezza e così iniziò il delirio personale: mollai completamente una mano dal volante per mettermi alla ricerca di questo benedetto microfono compiendo nel frattempo parecchi chilometri con una mano sola intanto che spingevo a tavoletta con le blasfemie che facevano da contorno a questa situazione parecchio surreale. Una volta ritrovato il microfono potei finalmente concentrarmi sulla guida e tornai a spingere a pieno ritmo se non fosse che ero bersagliato da moltissime auto misto al fatto che, con una temperatura esterna da clima africano, il motore iniziava a patire moltissimo il caldo raggiungendo temperature elevate. Tutto ciò però non influenzava le emozioni che stavo provando in quel momento: il poter spingere un’auto al limite senza preoccuparsi dei comuni pericoli di una guida ordinaria o prendere una curva al massimo e sentire l’auto che lotta con tutta se stessa per rimanere incollata all’asfalto sono tutte cose che, per un appassionato come me, ti fanno sentire libero con i problemi della vita che tutto ad un tratto svaniscono.

Quando ho scritto “bersagliato da moltissime auto” intendevo proprio questo.

Concluso il mio secondo e ultimo turno era arrivato il momento di cedere le redini dell’auto a chi se ne intendeva più di me e ad aspettare lo sventolio della bandiera a scacchi che arrivò puntuale alle 18:00 dopo dodici lunghissime ore di gara con una macchina messa “a dieta” e con qualche leggera modifica all’impianto frenante, insomma un successo oltre ogni immaginazione. Conservo nella mia mente ogni singolo istante di quel momento in cui la nostra piccola Perla Nera passò sotto la bandiera a scacchi: Umberto che espone il cartello nel momento in cui Matteo taglia il traguardo, Claudio che mi abbraccia in lacrime e Giulia che urla di gioia insieme a tutti gli altri membri della squadra che esultano come se fosse la finale dei Mondiali per un semplice 42° posto finale su 62 auto iscritte. Ebbene sì, posso assicurarvi che racimolare una posizione del genere con l’auto meno performante in pista è un qualcosa che va oltre l’immaginazione ed è considerabile una vittoria soprattutto per dei rookie come il sottoscritto.

Pochi istanti prima che Matteo tagliasse il traguardo.

Cosa rimane di questa giornata? Nonostante fossi stanco, sudato e con un viaggio di qualche ora da fare per tornare a casa le sensazioni erano quelle di una persona soddisfatta per aver portato a termine la sua prima gara e per aver dedicato questo traguardo alla memoria di un amico che non c’è più, il tutto avvolto però da un velo di malinconia dettato dal fatto che la gara successiva sarebbe stata a novembre e io avevo una voglia matta di ritornare in pista a spingere. Per concludere questa è stata un’esperienza che consiglio a tutti di fare almeno una volta nella vita, specialmente a quelle persone che come me sognano sin da bambino di indossare un casco e di allacciare le cinture sfidando anche quelli che sono i propri limiti e paure. Poi chissà… magari un giorno racconteremo ai nostri futuri nipoti mostrandogli una foto che in una torrida giornata di fine luglio del lontano 2022, attorno ad una piccola Peugeot 206+, fu scritta una bellissima favola.

Al mio amico Andrea.

Di Davide Achille

Nato a Voghera il 27 settembre del 1995, sono laureato in Giurisprudenza e appassionato di motori sin da quando ero un bambino. Ho iniziato a scrivere di motorsport e di automotive nell'ormai lontano 2016 e nel 2018 sono approdato alla corte di ItalianWheels.net. Guidatore della domenica per l'ItalianWheels Racing Team, corro anche nei campionati esports tra le file della Matteo Arrigosi Racing.

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