Narrare non è importante, è l’unica cosa che conta.
La narrazione ha reso uno sport nobile, fatto di tecnica ed eroismo un semplice battibecco tra fazioni.
Dozzinato l’arte e la tecnica in favore del gossip, più appetibile ed immediato per il pubblico casuale.
La narrativa ha preso il potere sulla pista riducendoci a guardare “chi mette like a cosa” sui social.
Si assiste al teatro dell’assurdo dove le parti interpretano una maschera schierata senza la volontà di dialogo.
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Forse sarebbe troppo facile dare la colpa a Netflix che, seppure ha effettivamente creato (o incentivato) un trend, non ha nient’altro che spinto quelli che erano i pensieri reconditi di tanti.
La guerra tra fazioni non nasce ora, sebbene accentuata, nasce con Prost e Senna, nasce con la politica dello sport.
Nasce con le testate vicine al francese e le dichiarazioni del brasiliano.
Ora, trent’anni dopo, siamo in balia di un fast food di Tiktoker incapaci di distinguere fake news, pronti a lanciare servizi nelle pay tv per polarizzare ancor di più le fazioni.
Nel corso degli anni questo metodo di comunicazione, volto al piegare la realtà dei fatti a proprio favore, ha creato una miscellanea di orrori.
Predestinati, precestinati, scarsi a piacimento, bolliti, re, regine, principi, disoccupati e chi più ne ha più ne metta.
Narrare è più importante di correre, non esiste più la semplice crudezza della tabella dei tempi ma raccontare storie e storielle e giustificazioni.
Altalene di odio, di umori, di politiche aziendali dove c’è da difendere e attaccare a seconda di dove tira il vento dell’opinione social.
O tutto o nulla, cento o zero, buono, brutto o cattivo.
Non si può applaudire ad una bella gara di un esordiente senza leggere di nuovo Senna o di nuovo De Vries.
Esiste una narrazione per cui un pilota, seppur fortissimo che ha vinto cinque gare in sei anni, ormai ventiseienne viene ancora additato come predestinato.
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Esiste una narrazione diametralmente opposta, dove se guidi per i “nemici”, allora il merito è della macchina irregolare.
Si crea una narrazione per cui chi a diciassette anni arriva in Formula 2 già deve sentirsi “l’anti- qualcosa” oppure il nuovo predestinato.
Già deve essere investito di pesi e aspettative senza nemmeno aver quasi iniziato una stagione.
Lo sport ormai è il contorno di una bella storia, confezionata e pre-masticata per un pubblico usa e getta.
Narrare, polarizzare, rovinare appunto.