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A cura di Claudio Boscolo.

Quello che facciamo, come blogger e redattori, da una parte ci rende dei privilegiati.

Certo, non godremo di stima sociale immensa, nemmeno di particolare considerazione tra amici e parenti ma sotto sotto noi siamo dei privilegiati.

Perché?

Perché possiamo godere della nostra passione in prima persona, perché giriamo tra i circuiti più belli del mondo e perché possiamo dire di essere tra i pochi fortunati a vivere il motorsport.

C’è modo e modo di vivere questo mondo, tanti semplicemente stanno a casa e pontificano su cose che non sanno, parlano per sentito dire o per vissuti altrui.

Noi preferiamo metterci al servizio delle nostre emozioni, per quanto infantili o viscerali esse siano.

Perfette o imperfette ma uniche.

Può suonare banale ma la parte più bella del nostro “lavoro” è quella nascosta.

Quella lontana dalle luci della ribalta.

Ci vedete sullo schermo come delle macchioline giallo fluorescenti, a volte in tuta ignifuga, a volte con caschetti di dubbio gusto per filmare, intervistare e raccontare storie.

Lo schermo ci regala l’illusione di sapere ogni singola cosa che accade durante una gara, una qualifica o una prova libera.

Non sapete quanto ci sia di più lontano che vivere una gara dal vederla.

L’odore perforante della gomma bruciata, il dribblare i cavi delle pistole per il cambio gomme che, come vili serpenti, sono pronte a sbilanciare i malcapitati in ogni attimo.

Le mille lingue parlate, le mille imprecazioni di fatica, scoramento o di esultanza.

Il “cinque” battuto dopo un buon cambio gomme, l’ammirare dalle feritoie del plexiglas i trucioli di gomma che si librano per aria, le mille forme del gas che esce dai tubi di scarico e il penetrante odore di benzina.

Lo schermo non racconta tutto il groviglio di emozioni, come sia vivere una partenza a pochi metri, cosa voglia dire ascoltare per dodici ore lo scoppiettio dello scarico di una Bentley Continental GT3.

L’ “in bocca al lupo” a denti stretti tra ingegnere e pilota, lo sguardo che cambia e da miti padri o madri di famiglia ci si trasforma in iene pronte ad azzannare le prede.

Lo stomaco che fa i salti mortali, il respiro pesante sotto al casco, lo sguardo nel piccolo mondo a sé stante della prima curva.

Prima della gara tutto può succedere, tutti sognano, nessuno escluso.

Lo schermo non racconta la preoccupazione che si vive nei box dopo un brutto incidente o l’euforia di una vittoria o un podio, il mix di terrore e di speranza.

Il sorriso beffardo dopo aver fregato i rivali con una buona strategia, l’ammirazione per il collega più esperto che ha dimostrato ancora una volta il proprio valore assoluto, i pugni che sbattono sui tavoli e i battibecchi quando qualcosa va storto.

Quante gare avrò visto?

Eppure nessuna ti prepara a quello che si vive durante un week end di competizioni.

La paura di essere sempre in mezzo alle scatole, le sfiammate in ripartenza e sentire il proprio corpo vibrare quando una vettura riparte a tutta furia dopo il pit stop.

Lo sguardo vuoto di un pilota dopo aver posteggiato nella ghiaia una vettura in ottima posizione, mentre sale sconsolato sul carro attrezzi; lo sbattere violento della portiera dopo un cambio pilota non eccezionale o il dolore dei meccanici mentre toccano zone roventi della vettura per risolvere i problemi.

I brividi per un sorpasso vissuto con il team, le smorfie di fatica sui volti dei meccanici per prendere a martellate il retro della vettura piegato da un incidente.

Il sorrisetto compiaciuto, gli sguardi di intesa coi colleghi e gli abbracci a fine giornata.

Lo schermo non racconta nemmeno le vesciche accumulate per il paddock, l’ansia prima di un’intervista, lo scherzare coi piloti appena prima di mettere su il casco ed entrare nel proprio mondo.

Il caldo ustionante o la pioggia battente che regnano nella postazione fotografi, il vento sferzante sollevato dallo spostamento d’aria delle GT appaiate sul rettilineo principale.

Non racconta le code al bar per prendere una coca-cola, il rilassarsi all’ombra condita dalla brezza nei pochi attimi di calma del paddock, l’incedere dell’orologio e il ” ma son già passate tre ore”.

Cosa voglia dire camminare sulla griglia di partenza con le vetture che sbuffano e rantolano a passo d’uomo mentre vanno a recuperare la propria casella per lo start.

Quell’aria che diventa elettrica, effervescente, il pesante stonk dei martinetti ed il fruscio delle pistole per gli pneumatici.

Il silenzio che cala, rotto solo dai sommessi singhiozzi dei motori.

Le orecchie che chiedono pietà, la stanchezza, quella causata dall’essere sempre sul pezzo, reattivo e pronto a battere la news o immortalare l’attimo, che sparisce quando il semaforo diventa verde.

Lo schermo non riesce a cogliere le bestemmie dei meccanici, la fatica nel portare il treno di gomme, i tagli sulle mani e le ossa rotte per permettere alla vettura ed al pilota di risparmiare un decimo.

Vedere un team principal spazzare per terra e aiutare a montare i ricambi della vettura come se fosse un meccanico qualunque.

Lo schermo non racconta gli sguardi di tenerezza e di ammirazione dei partner dei cavalieri del rischio, lo sguardo estasiato e sognante dei bambini.

Lo schermo ci illude, ci coccola e ci catapulta in mezzo ad un mondo che crediamo perfetto, astratto ed inumano.

Nulla di più falso, il motorsport vive e si nutre di emozioni, di persone, di errori e di imprese che senza il fattore umano sarebbe senza fascino.

Siamo abituati a vedere i piloti e gli addetti ai lavori sul loro piedistallo quando invece sono persone ben più comuni di quello che possa sembrare, pensiamo di conoscere tutto di persone che vediamo spesso, ne ipotizziamo difetti e pregi, supponiamo e parliamo, spesso a vanvera.

Siamo abituati a pensare che i nostri mondi siano su due piani esistenziali differenti eppure ci si trova tra piloti che hanno appena vinto la 12H di Sebring e studenti universitari a gustarsi un attimo di pace sulle sdraio dei box.

Capita anche di fare la coda al bagno assieme a gente che ha dominato il DTM negli anni ’90.

Passano gli accrediti, non le emozioni e la voglia di provare queste sensazioni con sempre più insistenza.

“Racing is life”, oggi più che mai.

Di Claudio Boscolo

Appassionato di endurance da quando ho memoria, innamorato perso della Panoz Esperante e nostalgico della Jordan e della Jaguar in Formula 1. Cantastorie di piloti e di gare, all'occorrenza team principal dell'ItalianWheels Racing Team.

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