A cura di Umberto Moioli.

Accade tutto lì, sulla soglia dei 7000 giri…

È con queste parole che si apre il film “Le Mans ’66 – La grande sfida”, pellicola che racconta l’epica sfida che Henry Ford II lanciò ad Enzo Ferrari, all’epoca incontrastato dominatore della 24 Ore di Le Mans, e del rapporto tra il leggendario pilota e costruttore Carroll Shelby (Matt Demon) e l’Hall of Famer Ken Miles (Christian Bale). Un film, lasciatemelo dire, di cui il mondo dei motori sentiva un estremo bisogno ma soprattutto la nuova (ma non ancora pervenuta) generazione, ancora in attesa di emergere dal liquido amniotico. Ironico, infatti, come la presentazione di quell’abominio di crossover elettrico chiamato impropriamente “Mustang” sia arrivata in concomitanza con l’arrivo nelle sale di “Le Mans ’66”, film che trasuda passione, motori (veri, non batterie!, ndr), benzina e gomme bruciate.

Una storia d’altri tempi, quella di “Le Mans ’66”, di uomini veri e “diversi” contrapposti alla moltitudine di vuoti “Yes man” che già all’epoca la facevano da padrone, una storia di auto, una storia di volontà e di orgoglio, di fallimenti  e di vittorie, una storia che mostra al mondo di oggi cosa significava credere in un sogno, accettare una sfida, guardare in faccia i rischi e andare avanti. La storia di come la Ford GT40 riuscì al suo secondo anno di partecipazione alla gara endurance per eccellenza a sbaragliare la scuderia italiana di Ferrari e la loro bellissima quanto velocissima 330 P4, per siglare una tripletta storica, aprendo così un ciclio di vittorie che porterà il costruttore di Detroit a completare un poker tra il ’66 ed il ’69, diventando così l’unica Casa costruttrice a stelle e strisce a trionfare alla 24 Ore francese. Ma, ancor più di quanto non fu in Rush, “Le Mans ’66” è un film in cui al centro della scena ci sono le macchine e l’intimo rapporto auto-pilota: è un film che ti fa uscire dalla sala con la voglia di metterti al volante e tirare ogni marcia fino al limitatore, ascoltando ogni componente della vettura lavorare all’unisono con gli altri pezzi per farti assaporare l’ebbrezza della velocità. E’ un film a causa del quale tutti i concessionari Tesla e gli organizzatori della Formula E e Moto E dovrebbero chiudere baracca domani stesso ed andare in esilio volontario per la vergogna di aver anche solo provato ad associare le parole “emozioni” e “motorsport” a quegli inguardabili elettrodomestici con le ruote. Per un buon 3/4 di spettacolo, infatti, nella sala del cinema risuona la musica di pistoni e valvole, di cambiate al limitatore, di scarichi aperti: scene e suoni così emozionanti ed evocativi da farti completamente dimenticare per 2 ore e mezza che là fuori, nel mondo (ir)reale di oggi, c’è gente che si esalta a vedere delle porcate elettriche ostentando orgoglio nel gridare al mondo la “bellezza del silenzio”. Mi chiedo (ma, in realtà, mi auguro) che “Le Mans ’66” sarà un film in grado di risvegliare una generazione di zombie incollati ed addormentati ad un mondo freddo e apatico fatto di app e “connettività”, facendogli scoccare quella scintilla che i motori, quelli veri, ed i piloti hanno da sempre acceso, facendo sognare e facendosi emulare per decenni da ragazzi e uomini di tutte le età. Me lo auguro davvero con tutto il cuore.

Di Umberto Moioli

Appassionato di roba veloce (purché non a propulsione elettrica), motorsport e street racing anni '90. Ho aperto ItalianWheels.net tanti anni fa per parlare di gare, auto e moto sportive e raccontare la poetica della guida.

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