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A cura di Cristian Cannito.

“La legge morale dentro di me, il cielo stellato sopra di me.”

In un’epoca ormai lontanissima, un filosofo tedesco* diceva che due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: una di esse era il cielo stellato, l’altra era la moralità. Ma cosa c’entra il cielo stellato con un sito che si occupa di motori? Usate l’immaginazione e datevi una risposta: che cosa vi permette di ascoltare un rombo, muovervi velocemente e al contempo ammirare la volta celeste? Una moto, esatto. Oppure? Un’auto col tetto in vetro? Certamente, ma pensate un attimo più in grande perché la risposta che state cercando risiede in una roadster. Una roadster vi permette di diventare dei novelli Immanuel Kant (*ecco svelato il misterioso filosofo) e vi regala la chance di guardare il cielo senza filtri, limitazioni o limiti.

Questo senso di libertà è stato sin da subito uno dei capisaldi del mondo dell’automobilismo: dalla Ford Model T che inizialmente prevedeva l’assenza di coperture sulla testa dei passeggeri, ad icone europee sia da corsa che da strada che hanno fatto dell’assenza del tetto un vanto estetico o una ragione ingegneristica per il successo lungo tutto il corso del Novecento.
A volte la grandezza è stata fatta proprio dall’assenza di un dettaglio, la voluta mancanza di una copertura sopra la testa degli occupanti ha regalato linee iconiche e immagini scolpite nella pietra della memoria di tantissimi appassionati: la Testarossa argento di Agnelli? L’unico esemplare al mondo ufficialmente riconosciuto da Ferrari ad avere questa caratteristica. Le scene ormai mitiche del mondo del cinema col “Sorpasso” di Gassman su una Lancia Aurelia o la corsa di Dustin Hoffmann e la sua Alfa Romeo Spider Duetto ne “Il laureato”? La CLK GTR roadster? Gli esempi sono tantissimi, intorno ad un tavolo un manipolo di appassionati potrebbe parlarne per ore.

Ma perché la mancanza del tetto è arrivata sana e intatta fino ad oggi? Come mai non è stata soppiantata dalla maggior rigidità, sicurezza e dal comfort della copertura integrale? Perché tanti di noi vogliono sentire il contatto con l’aria, con il suono dell’auto stessa, perché quel senso di libertà non lo trovi quando sei completamente chiuso nell’abitacolo.
Una scoperta regala quell’alone di fascino intrinseco legato ai litorali, alle estati, quel fascino spesso legato anche al benessere. Un fascino che negli anni Ottanta ha fatto mettere da parte tanti figli dei fiori e spianato la strada ai Magnum P.I. e ai proprietari di Porsche 911 che da Los Angeles a Miami hanno fatto sognare un po’ chiunque.

Non siete amanti di tutto questo? Il lato più economico delle roadster non vi interessa? Allora siete in questo mondo perché alla fine sono alcune tra le auto migliori da guidare, senza se e senza ma. Poco spazio significa poco peso e poco peso significa tanto divertimento. I 10 quintali scarsi delle MX-5 (la roadster sportiva più venduta al mondo con oltre un milione di esemplari, così per dire) sono da trent’anni e quattro generazioni un punto di riferimento per la guida sportiva a costo contenuto e per quel piacere che sta diventando sempre più difficile da trovare. Nel caso non fosse l’auto che fa per voi, gioite perché non è mai stata da sola e se il Sol Levante è nelle vostre corde, una Toyota MR2 porta con se un concetto simile, ma con una configurazione più insolita: il motore centrale e il turbo. È più difficile da trovare rispetto alla Mazda, perciò diventa un mezzo più impegnativo, ma il passo corto e la configurazione targa (della seconda generazione) all’occhio fanno perdonare molte cose. Avete gusti diversi? Allora le scelte sono due: o aumentate la potenza o abbassate ancora il peso. Se aumentate la potenza allora si aprirà un mondo enorme che a cominciare dalle sorelle 350 e 370 Z vi porterà molto lontano mentre la divina S2000 e i suoi 240 cavalli VTEC da ascoltare a cielo aperto possono far sognare in molti.
A discapito del più pragmatico e moderno Giappone, l’Europa invece ha abbracciato il concetto del tetto scoperto decenni fa e il mercato non ha mai smesso di dire di no. Nonostante BMW abbia rischiato il fallimento nel produrre la 507 nella seconda metà degli anni Cinquanta, un’auto che però è finita persino nel garage di Elvis Presley, la Z3 che ne ha colto la piena eredità (un timido tentativo venne fatto qualche anno prima con al compatta e curiosissima Z1) a metà degli anni Novanta ha saputo tracciare una nuova strada per la Casa bavarese che ormai da circa 25 anni continua a sfornare e aggiornare roadster a due posti, oltre ad aver sempre coltivato sin dai tempi della Serie 02 del 1968 l’interesse per le berline scoperte adatte a quattro occupanti. Quindi se siete fan dell’Elica e amanti della guida a contatto con l’aria potete trovare senza troppi problemi qualcosa che fa veramente per voi in un listino lungo circa mezzo secolo.
Ma BMW non è l’unica, anzi. Mercedes ha legato a doppio filo il proprio nome con la produzione di auto di questo genere perché l’esordio pressoché perfetto sia sportivo che commerciale della 300SL ad ali di gabbiano evoluta poi nella versione roadster e nella più soft 190 hanno definito gli standard di qualità per tutto il mondo per le auto di questo genere, ancora oggi.

E l’Italia? L’Italia si è mossa su ruote e ha toccato il cielo con un dito praticamente in contemporanea. Fiat e il giovanissimo pilota Vincenzo Lancia ebbero uno stretto legame professionale che portò l’Azienda torinese a vincere le prime gare automobilistiche del secolo scorso in Europa e Lancia ad avere abbastanza esperienza per arrivare a fondare nel 1906 la Casa che ancora oggi porta il suo nome. Nel primo dopoguerra arrivò anche Alfa Romeo, sull’orlo del fallimento e con mezzi risicati si salvò nel 1925 vincendo il primo campionato del mondo di automobilismo, in un intreccio che coinvolgeva Enzo Ferrari, Antonio Ascari (padre del leggendario Alberto) e un otto cilindri sovralimentato. Tutto questo come credete che sia avvenuto? Ovviamente senza nessun tetto sopra la testa.
I modelli spider e roadster italiani, così come li concepiamo oggi,  fecero però il loro vero e proprio debutto nel secondo dopoguerra con la già citata Lancia Aurelia B24, l’Alfa Giulietta Spider e la Fiat Pininfarina Cabriolet: tre auto che hanno permesso di vivere il sogno della rinascita economica europea in un modo unico e che hanno segnato inevitabilmente la cultura automobilistica.

Il desiderio di vivere l’auto scoperta in modo viscerale, intimo e quasi egoistico dei clienti ha permesso ai produttori di concentrarsi sempre di più sugli occupanti e sulla loro voglia di fuga e velocità, concentrando in pacchetti ridotti vere e proprie esperienze di guida uniche nel loro genere. Colin Chapman ha addirittura elaborato e sviluppato (poco prima degli anni Sessanta) la possibilità di un’auto da costruire completamente da soli, pur di ridurre all’osso i prezzi. Una trovata che prima come Lotus Seven e poi come Caterham è ancora viva al giorno d’oggi.
Una menzione speciale va data però anche a Ferdinand Porsche, fondatore dell’omonima Casa: la 356 con la quale ha iniziato è oggi più che mai una pietra miliare e la 911 ha tracciato la strada per definire, versione dopo versione, la cultura dell’auto sportiva. Entrambe in grado di viaggiare a cielo aperto (Speedster una e Targa/Cabrio l’altra) si sono ritagliate il loro spazio in modo inequivocabile con quelle linee uniche e il motore dietro, con l’unico scopo di emozionare pilota e passeggero ad ogni viaggio.

Quindi con tutta questa tradizione alle spalle, qual è la soluzione? Tirare giù il tetto a qualunque coupé sportiva sulla quale si metta mano? No, perché c’è anche chi fa il processo inverso e decide di rinunciare al tetto apribile per passare a quello rigido. È il caso di Alessandro, fiero possessore di MX-5 NB della zona di Maranello al quale ho chiesto: “Come mai hai fatto questa scelta? Senti la mancanza della configurazione precedente?”
La sua risposta è stata onesta e schietta: l’aspetto estetico in primis. Come dargli torto? Quando la roadster è chiusa ha una linea tutta sua, sicuramente bella, ma diversa da quella che può avere con una copertura fissa. Le avete viste le S2000 chiuse? È dura trovarle brutte.
Ma non solo quello lo ha spinto a cambiare visto che anche il fattore sicurezza è stato preso in considerazione. Non tanto la sicurezza di marcia, quanto quella dell’abitacolo stesso dato che un vetro al posteriore rende l’auto molto più difficile da aprire per un malintenzionato. Una capote in tela ha un telo in plastica morbida al posto del lunotto posteriore che è facile da danneggiare invece. Scelta comprensibile.
Gli ho chiesto se avesse dei ripensamenti e mi ha fatto un paragone decisamente interessante, moderno e al passo coi tempi: “Un po’ mi manca, perché è un modo diverso di guidare. È come passare dal giocare a un simulatore di guida con tre schermi alla realtà virtuale… È un’altra cosa, che può piacere o meno.”

Per concludere: come si può descrivere una spider? Forse come l’anello di congiunzione tra l’auto in senso stretto e la voglia di evasione che nasce una volta che tra gli occupanti e il cielo non c’è più niente. Che la troviate di gran lusso o ricca di sportività, di fronte alla prossima scoperta che vi trovate davanti soffermatevi un secondo in più perché ne varrà la pena.

Di Alessandro Rizzuti

Laureato in storia e bassista metal a tempo perso, fermamente convinto che sotto le sei ore si parla di gare sprint. Ogni tanto faccio qualche articolo ironico, sperando di essere divertente almeno su internet.

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