A cura di Umberto Moioli.

I giapponesi, si sa, sono un popolo enigmatico: così ligi alla disciplina, al rispetto per le regole, alla reputazione di onesti cittadini rispettabili, salvo poi scoprirsi, di notte, tutto l’opposto di quanto non facciano vedere durante il giorno. E così i bar si riempiono di uomini d’affari dediti alla bottiglia, ragazze morigerate gettano via la maschera così come altri ragazzi, dal temperamento “monastico”, si scoprono inguaribili donnaioli e le strade, che siano di città o di montagna, diventano teatro di vere e proprie gare clandestine, alcune note solo ai piloti locali, altre – come la Kanjo – il cui nome è noto un po’ in tutti gli ambienti dell’automobilismo “underground”.

La Kanjo, infatti, è una corsa che si tiene ormai da più di tre decadi su un percorso ad anello di poco superiore ai 7 Km, che incrocia le autostrade di Osaka, nella provincia del Kansai, e che malgrado passino gli anni non smette di attirare sempre nuovi giovani “racers”. Ma guardando il docu-video realizzato dalla Bowls Film, ciò che più mi ha colpito è stato l’ascoltare cosa si cela dietro a questa “gara”, la filosofia, le aspettative e il senso del dovere dei ragazzi della Kanjo (i Kanjozoku) nei confronti dell’autentica cultura JDM e della tradizione tramandatagli dalle generazioni di racers precedenti. “Lo faccio da più di 20 anni. – racconta il primo intervistato, dalle cui rughe accanto agli occhi si capisce che non si tratta di un ambiente di soli giovanissimi arrembanti – Non si tratta solamente di auto, la Kanjo riunisce le persone e aiuta a fare nuove amicizie che perdurano da decenni”. Un esordio, questo, che sottolinea come come lo stile di vita giapponese sia così duro da rendere difficili le relazioni interpersonali, ma quando c’è di mezzo la passione per qualcosa allora tutto diventa più facile. E noi tutti, cari lettori di IW, sappiamo bene quanto il mondo dell’automobilismo e del motociclismo ci accomuni e ci renda l’un con l’altro membri di una stessa famiglia. Ma al di là delle relazioni e della Kanjo in quanto tale, è proprio in questa regione del Giappone che la cultura JDM (Japan Domestic Market) ha avuto i natali; una cultura nata attorno anche e soprattutto ad una macchina ormai leggendaria, la Honda Civic, che per il suo essere accessibile economicamente dai più, per via della sua manovrabilità e di quell’inconfondibile suono del motore VTEC è diventata nel corso degli anni una icona assoluta dell’automobilismo giapponese e specialmente vera e propria bandiera della scena “street” di Osaka. Una delle ragioni per cui, inoltre, ad Osaka la “Civic culture” è così predominante è la vicinana con il circuito di Suzuka, in cui anni fa si tenevano delle gare denominate “One Make”, alle quali prendevano parte moltissimi drivers della prefettura del Kansai. Fu così che lo stile “One Make” fu trasferito dalla pista alla strada, radicandosi nella cultura della Kanjo, perpetuandosi di generazione in generazione fino ai giorni nostri. Ma è proprio questo attaccamento alla vera cultura JDM che la generazione che avrebbe già dovuto lasciare spazio ai più giovani non si è ancora “ritirata”: “Ciò che attualmente si vede in giro e che va così di moda non è il vero JDM, quanto un ibrido pesantemente influenzato dallo stile USDM (United States Domestic Market). – torna a parlare il più anziano degli intervistati – Questo è successo perché gli stranieri hanni preso ciò che gli piaceva della nostra cultura (motoristica) e l’hanno incorporato alla loro; ma questo stile ibrido è poi tornato in Giappone, quando le persone hanno incominciato a copiarlo. Quindi quello che i giovani chiamano oggi JDM in realtà non lo è. Quello che abbiamo fatto io e le generazioni che mi hanno preceduto, quello è il vero JDM! Ed è ancora qui oggi. Il “Kanjo Style” non è cambiato.”

Malgrado la pericolosità intrinseca di cimentarsi in una “gara” simile, e la costante presenza della polizia sulle strade, perché la Kanjo continua ad essere così popolare? A rispondere è stato un pilota più giovane che spiega: “Non lo faccio per mettermi in mostra o per qualcosa di speciale. […] Correre la Kanjo è bello perché è facile, posso saltar su ed andare veloce tutte le volte che voglio e non è raro imbattersi in piloti che non conosci e gareggiare contro di loro. Un tempo le gare tra team finivano sempre in rissa, oggi invece si tratta di una competizione genuina, amichevole, dove alla fine ci ringraziamo a vicenda per esserci divertiti insieme a correre.”

“Continuo a correre perché amo farlo, e anche tutti gli altri la pensano così. – continua un altro ragazzo – Guido anche con la speranza che la nuova generazione si unirà a noi, perché un tempo la scena era molto più grossa di oggi.”  Mentre un altro driver ammette quello che nessuno dice: “Ogni volta che vado a fare la Kanjo, mi chiedo se tornerò vivo.” ed un suo amico annuisce in silenzio. Perché è inutile che ci si giri attorno, questi racers lo sanno benissimo che la Kanjo potrebbe rovinare la loro reputazione, o il loro lavoro o peggio le loro vite, ma non possono assolutamente smettere, anche e soprattutto per il desiderio di tramandare ciò che è arrivato loro dalle generazioni che li hanno preceduti. “Il giorno che mi ritirerò sarà il giorno in cui saprò che la vera cultura JDM sarà stata tramandata pienamente alla nuova generazione. Proteggere questa eredità è la nostra missione.”

Di Umberto Moioli

Appassionato di roba veloce (purché non a propulsione elettrica), motorsport e street racing anni '90. Ho aperto ItalianWheels.net tanti anni fa per parlare di gare, auto e moto sportive e raccontare la poetica della guida.

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