A cura di Umberto Moioli.

Fin dall’avvento delle prime competizioni di auto e moto, ciò che ha da sempre reso i piloti figure così affascinanti era quell’attitudine alla sfida estrema, il cercare di controllare la Velocità, lo sfidare i propri limiti e quelli meccanici della vettura o della motocicletta, e prevalere nell’arena sugli altri piloti, così da dimostrare di essere il migliore, il più veloce ed anche il più temerario. Perché che piaccia o non piaccia, il motorsport ed il pericolo sono sempre stati un connubio indissolubile, lo spettro della Morte ha sempre aleggiato dietro ad ogni curva di qualsiasi tracciato del Mondo; e forse è proprio per questo che ogni gara diventava un vero e proprio evento unico, capace di tenere con il fiato sospeso migliaia e migliaia di persone da ogni dove, incollate allo schermo della televisione per seguire le battaglie di questi impavidi ragazzi. Certo, pur troppo ogni tanto il morto ci scappava per davvero, ma… “Motorsport is dangerous” recitava un vecchio motto e chi non era disposto a pagare il prezzo più alto al Dio della Velocità poteva o doveva rimanere a casa, al sicuro. Di certo non in mezzo all’arena. Nel corso dei decenni, infiniti passi avanti sono stati fatti per venire in contro alla sicurezza di chi corre – e non solo – ma, come ormai accade sempre in questa Società così fiacca ed ammorbante, si è deciso di andare verso la direzione estrema, quella della totale assenza di rischio. Ed ecco che man mano sono stati cancellati dai calendari alcuni tra i circuiti più belli ed emozionanti della Storia del motorsport, sanzionati e penalizzati i duelli in pista, ogni contatto tra le vetture stigmatizzato come se si trattasse di un omicidio di massa, fino ad arrivare a quegli stupidissimi, inguardabili ed insulsi infradito (o perizomi, se preferite) chiamati Halo, che “finalmente metteranno a riparo le teste (già incavatissime, ndr) dei piloti nelle vetture”.

Eh già, bella trovata. Una bella trovata per tramutare il motorsport in una professione in cui fegato e palle non sono più elementi indispensabili o necessari, così da rendere Formula-1 e derivati discipline a puro appannaggio di ragazzini ricchi, viziati, snob e senza alcun tipo di carisma. D’altronde, quando di una Stagione di Formula-1 l’unica immagine di cui ti ricordi (e con cui i media e i social ci hanno bombardato) è stata la scenetta di un (neanche più tanto) sconsolato Alonso che si mette a prendere il sole ancora vestito con la tuta da gara dopo l’ennesimo ritiro della sua McLaren-Honda, allora è lampante che siamo ormai giunti al totale declino di uno Sport che nulla ha più a che spartire con il suo Leggendario passato. Poco male, sapete? Fortuna che esistono ancora le moto, le corse su strada come il Tourist Trophy, i rally e anche le “sottocategorie” come il Blancpain GT Series, le altre classi a ruote coperte ed i Campionati monomarca, in cui poche chiacchiere, poco circolo mediatico ma con piloti ancora veri, genuini, pronti a rischiare tutto non per la fama ma per un proprio desiderio interiore. Piloti sempre pronti a dare il 120% ad ogni gara, pronti a sacrificarsi e a lottare in ogni condizione come gli eroi del passato. E se siete dei veri appassionati di Formula-1 come me, allora questo scempio – ancora in attesa di toccare il fondo assoluto – farete a meno di guardarlo questo fine settimana. Andate piuttosto su YouTube, a ricercare vecchie gare dell’epoca, quando i piloti erano ancora Piloti, e la Formula 1 era ancora la Formula 1. Andiamo tutti insieme a ricercare il significato di quello che davvero era il motorsport.

Di Umberto Moioli

Appassionato di roba veloce (purché non a propulsione elettrica), motorsport e street racing anni '90. Ho aperto ItalianWheels.net tanti anni fa per parlare di gare, auto e moto sportive e raccontare la poetica della guida.

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