A cura di Umberto Moioli.

Dopo un’attesa durata un interminabile anno, le strade dell’Isola di Man questa settimana sono tornate ad essere le protagoniste di una delle gare più difficilI, pericolose, caratteristiche ed evocative di sempre, il Tourist Trophy. Non servono, infatti, grandI presentazioni quando si parla del Mountain Course: a chiunque sarà capitato almeno una volta nella vita di imbattersi in un video del TT su youtube o facebook, rimanendo immediatamente shockati dalla “follia” di questa gara, dalla pericolosità intrinseca di un tracciato stradale simile e colti quindi dall’immancabile domanda “ma a questi uomini gli fa schifo la vita?”.

Perché alla fine è così, chi non corre al TT o, in generale, alle Road Races, non riuscirà mai a capire fino in fondo tutto ciò. Insensato, folle, pazzo, inutile. Non ci sono minimamente in ballo i soldi che girano in MotoGP, in F1 o nel calcio, in tantissimi Paesi neppure viene garantita la copertura mediatica, come in Italia ad esempio (e allora grazie di esistere Facebook, che grazie a pagine e gruppi dedicati ci permette di seguire costantemente ciò che accade al Mountain) e ad ogni edizione il morto ci scappa sempre. Anche più d’uno. Ma niente di tutto ciò ferma gli indomiti piloti che ambiscono a stampare il proprio nome nell’Olimpo del Tourist Trophy. Addirittura poi alcuni piloti, come il nostro Stefano Bonetti, il primo pilota italiano ad arrivare 5° al TT con ben 11 partecipazioni all’attivo, arrivano in pullman all’isola di Man. Insomma, non importa come o con cosa, alla chiamata del Tourist Trophy questi piloti rispondono sempre presente, anche dopo essere stati protagonisti di incidenti quasi mortali – proprio come Stefano, che ha rischiato di chiudere malamente la sua carriera dopo uno schianto a 165 Km/h contro le barriere del GP di Macau. La voglia è sempre quella di tornare a sfrecciare a tutta velocità tra i boschi dell’Isola, sfiorando case e marciapiedi, saltando ad oltre 250 Km/h, per quel loro Sogno.

Ma sfortunatamente no, non sono un pilota del TT (ad oggi, ma un giorno… chissà), quindi non posso dirvi cosa spinge esattamente un uomo a decidere di rischiare tutto pur di correre il Tourist Trophy, ed oggi non voglio neppure provare ad immaginarlo. Quest’oggi voglio parlare invece a nome di chi con gli occhi ora commossi ora luccicanti, sta dall’altra parte della barricata, a guardare, ad esaltarsi e a celebrare chi il TT lo corre. Oggi voglio parlarvi da “fan”.

Ad ogni nuova Stagione, chi ama le Road Races dovrà almeno in un paio di occasioni (ed una di queste si presenta quando qualche pilota non riuscirà più a riaprire gli occhi dopo un incidente) scontrarsi con i soliti detrattori, i moralisti, i sedentari e specialmente con gli INVIDIOSI, che vorrebbero la messa al bando delle gare su strada e del TT in primis con la scusa della pericolosità, che cela in realtà tutto il desiderio di poter essere chi invece non saranno mai. Le domande contro questa meravigliosa disciplina sono sempre le solite, scontate e banali di sempre: “ma cosa ci trovate a guardare questi pazzi che vogliono morire?”“a questi gli puzza la vita, perché sprechi il tuo tempo con queste idiozie?”, “se vuoi morire… Poi andrai ad emularli in strada… Complimenti”.

Quello che mi chiedo invece io è, perché per una volta non chiudete la bocca, scacciate dalla testa ogni vostro pregiudizio e non rimanete per un instante lì, ad aspettare l’arrivo dei piloti annunciati da quel rombo, potente ed acuto al tempo stesso, che echeggia nell’aria? Aspettando il loro passaggio, con le moto leggermente inclinate ad oltre 250 Km/h sfrecciarvi davanti e sfiorando i marciapiedi di una stretta stradina di uno di quei paesini che per una volta all’anno diventano sezioni di quel leggendario tracciato? Perché non provate per una sola volta a capire che nella sfrontata sfida alla morte di cui questi piloti si rendono protagonsti, in realtà si celebra l’esaltazione della vita stessa, della vita piena, della “vita spericolata”, della giovinezza, della bellezza della forza e del coraggio, la celebrazione di quella vita vissuta ora con un ghigno beffardo ora con il pianto liberatorio di chi, non importa se primo o ultimo, ha concluso LA gara.

Ciò che fanno questi piloti è ben più che dare un senso alla loro esistenza, è cimentarsi in un’impresa che ha del leggendario, che rende onore agli eroi indomiti del passato, è fare qualcosa che ha dello straordinario, qualcosa di meraviglioso, di puro, dove i piloti si sfidano per se stessi, per la propria gloria e per l’amore delle corse stesse, dove sono acclamati da un pubblico che non conosce colori, marchi, politiche, divisioni, ma solo ammirazione, cristallina ammirazione per i tutti coloro che hanno il coraggio di abbassare la visiera e andare incontro al proprio destino tra le curve del Mountain Course. E se anche i migliori piloti della MotoGP e della Superbike fanno tappa al TT come spettatori, congratulandosi e soprattutto CHIEDENDO ai ragazzi del Tourist Trophy, allora state certi che quello che accade all’Isola di Man (così come a Macau, alla North West 200, etc.) ha qualcosa che va molto al di là a ciò che solitamente può essere definito come “speciale”!

E allora, come dicono gli inglese: “Good Luck, and God Speed” ragazzi. Buon Tourist Trophy a tutti!

Di Umberto Moioli

Appassionato di roba veloce (purché non a propulsione elettrica), motorsport e street racing anni '90. Ho aperto ItalianWheels.net tanti anni fa per parlare di gare, auto e moto sportive e raccontare la poetica della guida.

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