A cura di Umberto Moioli.

Sono passati ben 6 anni da quel terribile incidente che mise a serio rischio non soltanto la sua carriera, ma la sua stessa vita. Sei anni durante i quali si sono avvicendati interventi chirurgici, dei quali 18 solo al suo braccio destro, il timore di non riprendersi più, la paura di risalire in macchina e, aprendo il gas, scoprire il possibile nuovo se stesso che nulla avrebbe avuto a che fare con il talentuoso pilota che era prima dello schianto al Rally Ronde di Andorra, la consapevolezza di dover abbandonare il paddock della F1, la decisione di intraprendere una lunga e dura avventura nel WRC, classe regina proprio di quella specialità che lo stava per uccidere. Ma Robert Kubica, tenendo fede a quella promessa di ritornare nel Paddock di F1 solo con un casco in testa, dopo questi 6 lunghissimi anni ce l’ha fatta, tornando finalmente alla guida di una monoposto di Formula Uno.

Un ritorno attesissimo ma, sulla carta, quanto mai incerto e difficile per il pilota polacco, chiamato dal team Renault per un test organizzato a bordo della R.S. 17, sulla quale oggi Kubica ha completato ben 142 giri dell’Hungaroring, una pista estremamente fisica che non lascia scampo a coloro che non godono di una buona preparazione atletica. Figuriamoci per coloro che invece devono fare i conti con un braccio ancora lontano da una condizione ottimale e a causa del quale entrambi i paddle-shift del cambio sono stati posizionati a sinistra del volante.

Ma come dico sempre, i piloti sono persone speciali, mosse da un coraggio eccezionale, da tenacia sovrumana e da un’incrollabile desiderio di poter fare ciò che più hanno nel sangue: correre. Non importa a che prezzo, non importa quanto lavoro debbano affrontare, quanta fatica e quanto dolore debbano sopportare, perché davanti a loro c’è soltanto la visione di quella visiera che si abbassa prima che il semaforo spenga le proprie luci. Il suono del motore che ruggisce, insieme a quelli di tutti i propri avversari pronti a darsi battaglia, le auto che partono all’unisono. Davanti, solo quella striscia di asfalto sopra la quale la vita di questi uomini trova pieno compimento. Robert Kubica è così, un pilota della “vecchia scuola”, che nonostante tutto, nonostante quel terribile schianto, tutte le operazioni subite e i timori di non essere più lo stesso di prima, non si è dato mai per vinto ed anzi, lavorando come mai prima d’ora e presentadosi con una forma fisica che lui stesso ha confessato di non aver mai avuto prima, ha affrontato questo test al volante di una vettura mai vista prima, totalmente diversa da ciò che era abituato a guidare fino al 2010 e nonostante ciò è riuscito a concludere la giornata con il 4° miglior tempo. Cosa dire se non “Chapeau”, perché davanti a tali dimostrazioni di volontà, davanti alla prova concreta che non esistono limiti per coloro che sono mossi dal desiderio di seguire i propri sogni, non si può che chinare il capo e apprendere.

Caro Kubica, non so ora cosa il futuro ti riservi, se quel tanto ambito sedile di una delle macchine più veloci del mondo o magari il volante di qualche altra prestigiosa vettura, ma ad ogni modo ti auguro non solo il meglio, ma che il destino possa riportarti lì, dove piloti come te non solo meritano di stare, ma soprattutto di vincere e scolpire il proprio nome nella storia di questo magnifico sport.

Di Umberto Moioli

Appassionato di roba veloce (purché non a propulsione elettrica), motorsport e street racing anni '90. Ho aperto ItalianWheels.net tanti anni fa per parlare di gare, auto e moto sportive e raccontare la poetica della guida.

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