fbpx
2019 Japanese Grand Prix, Sunday - Wolfgang Wilhelm

A cura di Cristian Cannito e Claudio Boscolo.

Piccolo, basso, fatto di tubi a vista, monoposto. Viene in mente niente? No, non è il monopattino di vostro nipote di sette anni. È il go-kart che forse non avete in garage ma che avete voglia di guidare ogni volta che ci pensate, magari con quel gruppaccio di amici che avete, altrettanto carichi all’idea.

Perché è così divertente il pensiero di avere una griglia di partenza da condividere a bordo di un kart? L’agilità e il fatto che siano veloci in rapporto alle dimensioni che occupano sono indubbiamente un paio di assi nella manica niente male. La voglia di rivincita su quell’amico che vi ha dato filo da torcere l’ultima volta può essere un altro fattore e magari poterlo pure fare al costo di un paio di drink e un ingresso in discoteca aiuta la vostra causa. È la ricetta perfetta per il divertimento a basso costo, niente da fare. Dietro a tutto questo però c’è un motivo semplicissimo, quasi banale: i kart che scendono in pista sono tutti uguali.

“Ma i kart si possono modificare!” Si, si possono modificare. I due tempi rombano a migliaia di giri con orgoglio in questo campo e carburatori, espansioni e compagnia cantante la fan da padrone, ma quando ne andate a noleggiare una mezza dozzina per un’ora o due l’unica cosa che distingue uno dall’altro è la tabella portanumero. Non c’è preparatore che tenga o accensione modificata che vi risolva la questione dandovi quei cinque centesimi di vantaggio al giro. Siete solo voi, quel piccolo ammasso di tubi, l’asfalto e un manipolo di persone pronte a dare il massimo. L’uguaglianza al potere, la democrazia fatta motorsport. Chi l’avrebbe mai detto?

Ma il motorsport non è solo democrazia e uguaglianza. Il motorsport è anche anarchia, rivoluzione e cambiamento: il Gruppo B? C’erano i turbo, c’erano gli aspirati, c’erano i compressori, le trazioni integrali e le due ruote motrici. La Formula Uno? Sei ruote, quattro ruote, ventole che risucchiavano l’aria e chi pensava che “L’aerodinamica è il risarcimento per chi non sa spremere cavalli dal motore”. L’automobilismo (e il motociclismo di pari passo) è sempre stato dinamico e pronto al cambiamento con un unico vero scopo: la velocità.

A quale costo?

La ricerca della prestazione pura non si è mai veramente fermata. Se in alcuni momenti è andata avanti più spedita, in altri è stata più complessa ma non si è permessa neanche per un secondo di bloccarsi e tornare indietro: non è ricerca della prestazione se il tempo ricomincia a vincere battaglie che aveva perso giro dopo giro.

Queste battaglie vengono riprese con forza quando la nemica per eccellenza dei sogni scende in campo: la realtà. Idee spezzate dalla cruda e fredda concretezza delle cose (qualcuno ha detto Ayrton Senna in Ferrari?) che portando via qualcosa o qualcuno o richiedendo un esborso troppo alto per le tasche dei manager, rallentano inevitabilmente il percorso di sviluppo e fermano il desiderio di vedere infranti nuovi record. Allora cosa si fa per risolvere questa questione? Se le fatalità sono inevitabili, nonostante la grande cura e attenzione che si riserva alla sicurezza in questi anni, i costi si possono abbassare di volta in volta ed è qui che si prendono la scena i regolamenti tecnici e le economie d’esercizio.

Come? Impedendo che la Formula Uno diventi ad esempio un pozzo senza fondo accessibile solo ad un club ristretto di tre o quattro nomi al massimo. Certo, la possibilità di vedere qualcosa di così sviluppato dove l’unico limite è il progresso tecnologico, è estremamente allettante ma allo stesso tempo pericoloso. Che deriva potrebbe prendere la cosa? Lo spettacolo in pista sarebbe ancora garantito? Le domande son tante e se l’obiettivo finale, come dichiarato nella prima parte, rimane sempre quello della velocità non ci dobbiamo dimenticare che è anche il numero di persone che seguono una squadra o un campionato a rendere il tutto vivo e in crescita costante. Se non c’è un ritorno commerciale le cose vengono fermate prima che diventino una perdita finanziaria: il romanticismo e la voglia di correre per il solo gusto di farlo si sono spostati verso i livelli più umili e modesti dello sport.

La nuova Formula Uno

Sono di questi giorni le notizie per cui dal 2021 potremo vedere una nuova Formula Uno, più allineata ad una politica di controllo dei prezzi in grado di facilitare il lavoro alle squadre minori. Si è parlato di rendere l’aerodinamica più leggera in modo da generare meno flussi aerodinamici “sporchi” per le auto che sono dietro, evitando così che un pilota si trovi svantaggiato dal seguire a ruota un avversario( come già si è iniziato a fare con le nuove ali anteriori e posteriori); cambi XTrac a sette marce al posto dei convenzionali a otto, dove le uniche differenze tra le squadre sarebbero nel guscio stesso della trasmissione a cui si andrebbero a collegare le sospensioni e altre modifiche che snellirebbero il processo di realizzazione di un’auto da Gran Premio.

I costi scenderebbero davvero? Le prestazioni? Su questo diventa difficile trovare una risposta, anche perché le auto attuali sono ancora in fase di sviluppo, la stagione 2019 è appena cominciata e c’è ancora tutto il 2020 davanti.
L’idea di Liberty Media è quella di ottenere di più, spendendo meno risorse: un aumento di efficienza intrigante, ma forse difficile da realizzare e che va a imbastardire la più alta forma dell’automobilismo. È un discorso da nostalgici? Forse è più il desiderio di non vedere la Formula Uno diventare solo show dove lo sviluppo tecnico è a malapena di facciata.

Una competizione alternativa

I cambiamenti in atto vanno ad uniformare le auto che scenderanno in pista (che a questo punto si spera avranno altre strade per differenziarsi e per spingere ancora più avanti l’eventuale progresso tecnologico) portando l’intero Circus verso la collaudata e semplice formula del monomarca. Attenzione però: tra le modifiche al regolamento 2021 proposte e questa “catastrofica” previsione ci sono ancora tantissimi livelli di differenza, quindi il problema non si pone e forse neanche lo farà mai, tuttavia se le auto continuano ad uniformarsi il risultato è evidente.

Facendo un esercizio mentale, come potrebbe essere una Formula Uno “monomarca”? Cosa verrebbe fuori da un campionato del mondo così? Senza dubbio gran parte del lavoro di sviluppo sarebbe concentrato sulla ricerca degli assetti ideali e delle alchimie perfette tra auto e pilota. Pilota che diventerebbe il fattore decisivo praticamente gara dopo gara, col suo talento e la sua capacità di guida.

È un bene senza dubbio dare risalto a chi effettivamente poi l’auto la guida in modo anche da fugare ogni dubbio sulla qualità dei campioni che siedono nelle monoposto, perché nel caso viviate sulla Luna c’è gente nel 2019 che pensa che essere Campione del Mondo di Formula Uno sia una questione di fortuna. Quello a cui dovremmo dire addio però sarebbe la possibilità che i grandi studiosi dell’auto rimangano nell’ambiente delle monoposto, andandosi a spostare piuttosto in altri campi, in altre competizioni più permissive, col rischio addirittura di togliere alla F1 lo scettro di categoria d’élite. Assurdo, vero?

È un bene che i monomarca e più in generale i campionati dove le differenze sono ridotte esistano perché contenere i costi consente a più appassionati di affacciarsi a questo mondo, aumentando quindi le possibilità di scoprire campioni e dando linfa vitale all’economia dell’auto che nonostante tutto ha bisogno anche del motorsport per andare avanti. Ne sono esempi l’Alpine Cup Europa dove la coupé francese è assoluta protagonista, il Mini Challenge o addirittura la Micra Cup che ha visto più di trenta diverse squadre nella stagione 2018. Sono esempi straordinari di come un costo basso non sia per forza sinonimo di poca qualità, ma la F1 è ben altra cosa.

Forzare lo spettacolo

Ebbene Liberty Media, sin dal giorno zero, ha sempre fatto intendere di essere orientata verso lo showbiz. Si prova a massimizzare il più possibile lo spettacolo per ottenere vendite, d’altronde business it’s business: se ho spettacolo in pista la gente paga per vedere e siamo tutti contenti, il brand vende. Economia for dummies applicata al motorsport.

Certo, di facciata, si preferisce attribuire questo appiattimento al nobile revisionamento dei costi in modo tale da favorire squadre più deboli e renderle più competitive.

Sappiamo bene però che la prova empirica testimonia altrimenti: ogni tentativo di abbassare i costi ha prodotto più scuderie sul baratro e fallite che altro (vedere lo status finanziario in casa Williams). La stessa introduzione dell’ibrido come panacea ecogreenveganvattelapesca non ha fatto altro che lievitare i costi per le scuderie clienti così come le varie introduzioni di KERS, ERS, DRS e PU limitate per forzare lo spettacolo in pista e abbassare le spese.

Il modello di riferimento, secondo questa deriva, diventa tutto “Stars and Stripes”: Nascar ed IndyCar. Democrazie diverse ma unite dallo stesso denominatore: nessuna (o quasi) differenza tra una vettura e l’altra della stessa categoria dove a fare da ago della bilancia resta il pilota e costi minimi di ricerca, sviluppo e mantenimento delle belve in pista.

Se la strada intrapresa si rivelasse quella a stampo americano allora occorre prepararsi a vedere lo sviluppo ed il progresso sempre più mortificati per esaltare la “caciara” in pista e cercare di riportare gente in autodromi ormai ridotti a cattedrali nel deserto (anche per scelte poco felici nel disputare gare in posti dove la cultura motoristica è pressochè inesistente).

Di base si tenderà a ridurre la Formula uno democratica e non più elitaria, dove cercare spunti non nella qualità delle vetture in pista ma nella quantità di sorpassi ed incidenti.

Il passaggio finale per rendere il purosangue di razza un semplice ronzino.

Liberty Media sta progressivamente tracciando la rotta per la fine della Formula Uno per come la conosciamo.

Meno amore per la macchina, più per i piloti forzatamente rockstar.

Più sorpassi ed incidenti, meno sviluppo, tecnica e ricerca

Meno amore per la Formula Uno, più per lo showbiz.

God bless Liberty Media.

Ma vogliamo davvero questo cambiamento?

Di Alessandro Rizzuti

Laureato in storia e bassista metal a tempo perso, fermamente convinto che sotto le sei ore si parla di gare sprint. Ogni tanto faccio qualche articolo ironico, sperando di essere divertente almeno su internet.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *