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A cura di Umberto Moioli.

Probabilmente passerò per paranoico, per visionario, per “gombloddista”, ma sta di fatto che il futuro inizia a farmi paura.

Di presentazione in presentazione, infatti, e da un salone all’altro, novità iper-tecnologiche, super-green ed ultra-humanfriendly scandiscono di anno in anno una corsa ad un prodotto sempre più pulito, a bassissimo impatto ambientale, sempre più sicuro ed autonomo e, soprattutto, socialmente accettato. Accettato, ovvero, da una società che erige a modelli da emulare tristi hipster con la passione per Starbucks e le bici Graziella ed irritabili fashion blogger dall’animo vegano; una società che quindi non può che condannare chi come noi vive con la passione per mezzi (a due e quattro ruote) con grossi ed inquinanti motori a benzina, chiassosi, pericolosi, intellettualmente inutili, e che sanno regalare ai propri piloti quell’aura e quell’immagine da veri duri del passato che il mondo moderno tanto si sforza ogni giorno di cancellare o censurare.

Ecco che quindi il mercato (che segue e fornisce esattamente ciò di cui la società è desiderosa e “bisognosa”) offre a questi eco-20enni vetture elettriche tanto lente quanto silenziose da fare sfoggio di un carattere più mansueto e noioso di quello di un bradipo, e sistemi di parcheggio automatico e frenate assistite pronti a ricordargli che le vecchie generazioni li ritengono dei biechi incapaci. Ma se si trattasse semplicemente di commentare le tecnologie ibride ed elettriche, applicate specialmente a vetture piccole, come le city-car, o a più comode familiari e furgoni da lavoro, allora sarei io stesso il primo a gioire di questa svolta. Non perché ami l’elettrico, anzi; ma semplicemente perché la ritengo l’opzione migliore per chi crede che auto e moto siano dei semplici “strumenti di locomozione”: costoro possono finalmente consumare poco (o nulla), e a noi Petrolhead resteranno più anni di benzina per fare quello che ci piace, ovvero guidare motori veri.

Purtroppo, però, quello che potrebbe accadere nel prossimo futuro – e del quale ho una miserabile paura – va compreso seguendo due distinti filoni, ovvero quello che riguarda i soggetti della società (di cui ho accennato prima) e quindi quello delle nuove tecnologie, discorso che va ben al di là del dibattito sulle energie. Mi riferisco infatti a quella montagna di elettronica che permette, e permetterà, di fare cose che un tempo pensavamo proprie solamente dei film fantascientifici. Un esempio? La guida completamente autonoma che via via sta prendendo sempre più piede, a partire da quanto fatto da Tesla per passare agli sviluppi di Audi e così via: ovvero vetture che viaggiano, frenano, si districano nel traffico, curvano e si parcheggiano mentre il “pilota” può rilassarsi dormendo o leggendo il giornale, comodamente trasportato dalla propria vettura. Ma ciò che qualche giorno fa mi ha lasciato letteralmente esterrefatto è stata la presentazione del concept di BMW della sua “moto del futuro”, una moto che sarebbe in grado di non cadere mai e che per questo si potrà guidare senza casco.

Ora voi vi starete chiedendo: “Cosa c’è di male e di negativo in tutto questo?”. Ebbene, quello del secondo decennio del nuovo millennio è un mondo che di giorno in giorno diventa sempre più ovattato, sempre più “sicuro”, dove la maggior parte delle persone cerca di annullare in qualunque circostanza la componente “rischio”; fattore, quello del rischio, che a mio avviso ha sempre dato tutto un altro sapore alle cose ed alle esperienze. E questa idea del rischio-zero si accompagna ad il lento (ma inesorabile) processo di accettazione che, prestando attenzione, subiamo tutti i giorni in molteplici ambiti. Giusto per essere più chiaro vorrei portare ad esempio la lotta per i diritti LGBT (senza esprimere alcun tipo di giudizio, ma sottoponendovi semplicemente fatti reali): se agli inizi degli anni ’80 o ’90 qualcuno avesse anche solo lontanamente ipotizzato di garantire un “diritto al matrimonio e all’adozione tra coppie omosessuali”, costui avrebbe potuto suscitare uno scandalo senza precedenti. Eppure questo è attualmente materia di civile dibattito quotidiano. Il punto della questione adesso, però, non è ovviamente dare un esito al dibattito stesso, quanto l’analizzare come siamo passati dalla mentalità degli anni ’80/’90 a quella dei giorni nostri. Ovviamente non è stato un processo avvenuto in un paio di anni, ma ha richiesto un periodo molto più lungo, fatto di primi “coming-out”, prime “rivelazioni”, primi articoli, analisi e così via, fino alla creazione di un vero e proprio movimento che ogni giorno lotta per le proprie battaglie. Se prestate attenzione, questi processi di accettazione sono frequentissimi e ce li abbiamo sotto i nostri occhi ogni giorno. Quindi, per arrivare al punto, che cosa temo? Ebbene, temo che l’unione di “piloti automatici” e “mentalità a rischio-zero” possa un giorno portare a quanto profetizzato (passatemi il termine) nel film “Io Robot”, ambientato nel 2035, nel quale il governo era arrivato ad approvare una legge che rendeva illegale la guida manuale. Farneticazioni mie? Non lo escludo, ma chissà che un giorno non arrivi ad aver ragione. Nel mentre, continuerò a godere della guida e a sperare di sbagliarmi di grosso.

Di Umberto Moioli

Appassionato di roba veloce (purché non a propulsione elettrica), motorsport e street racing anni '90. Ho aperto ItalianWheels.net tanti anni fa per parlare di gare, auto e moto sportive e raccontare la poetica della guida.

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